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La pelle di pecora e l’etica

Lo scorso sabato sono stata ad Arredamont, la mostra dell’arredare in montagna. Ci vado quasi tutti gli anni per conoscere le novità sull’arredo in legno, per sbirciare e scoprire nuovi prodotti e accompagnare mio marito progettista; stavolta in particolare c’era un seminario sul risparmio energetico della casa e sull’interior design in montagna che mi interessava seguire. Ma non è di questo che ti vorrei parlare bensì della pelle di pecora che ho acquistato su un banchetto della fiera.
L’ho sempre desiderata ma mi sono chiesta se ho fatto un acquisto giusto. Eticamente corretto.

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Ci stavo pensando da molto tempo a una pelle di pecora per riscaldare i nostri freddi inverni e rendere più bello il nostro divano che non mi è mai piaciuto e spero, un domani, di poter cambiare. Mi sono sempre domandata se fosse un acquisto giusto sia per un risvolto chiaramente animalista, sia ambientale a causa della concia (quasi sempre) chimica, sia per una questione salutista perché le sostanze usate nella concia potrebbero essere rilasciate e inalate.

Sabato ho visto un banchetto posizionato in un angolo defilato rispetto agli altri stand della fiera, lo avevo già notato gli anni scorsi per le meravigliose coperte fatte a mano. Mi sono avvicinata alla vista dei classici berretti e ciabatte di lana cotta e delle grandi pelli di pecora appoggiate sul banco. Erano bellissime.

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Ho cominciato a parlare con la signora che le vendeva chiedendole come mai non avesse più le coperte degli anni passati e lei mi ha risposto che, essendo una piccola artigiana e contadina, le richiedevano troppo tempo per cui preferiva puntare su prodotti classici e più facili da vendere. Calzini, guanti, cappelli, ciabatte tutto di lana. La lana delle sue pecore, mi ha detto con orgoglio parlando sempre in dialetto trentino.

“Vede, queste sono le pelli delle mie pecore” ha aggiunto. Al ché ho detto che mi piacevano ma provavo pena per gli animali. La signora mi ha risposto che le sue pecore vivono felici in Valsugana, all’aria aperta, libere e l’animale viene ucciso da adulto (in effetti le pelli esposte erano grandi). Che della concia è lei stessa a occuparsene, con acqua aceto e sale. Mi ha sporto la pelle dicendomi di annusare … mamma mia che odore di bestia. Fortissimo, da svenimento.

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A quel punto ho ringraziato la signora e ho proseguito la visita della fiera. Pensosa: sì perché la pelle mi piaceva, tanto, insieme a quell’odore in fondo così naturale e vero. Ho riflettuto se acquistarla e questi sono i pensieri che si sono susseguiti:

– quel preciso momento rappresentava l’occasione per acquistare la pelle di un animale adulto lavorata senza chimica, ne ero certa (l’ho sentito con il naso!)
– quella pecora e quella signora fanno parte di un ecosistema naturale, dove esistono un pascolo e un’agricoltura non intensiva che rispetta l’equilibrio ambientale
– quella pecora e quella signora fanno parte di una microeconomia che coinvolge l’artigianato, il quale propone un’economia più lenta e rispettosa dell’ambiente rispetto all’industria (sebbene non voglia demonizzarla)
– so che non avrei acquistato un prodotto proveniente da paesi che non hanno regole a favore dell’ambiente
– so che non avrei acquistato un prodotto che sfrutta il lavoro e nessuno è stato maltrattato
i materiali sintetici (ecopelle) sono una buona alternativa? direi di no, conosciamo bene gli enormi danni sull’ambiente causati dall’estrazione del petrolio da cui deriva la plastica. Anche Stella McCartney – l’animalista per antonomasia – ha i suoi limiti

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Alla conclusione di questi pensieri ho acquistato la pelle di pecora. Con la consapevolezza che è difficile scegliere di essere eticamente corretti in questo mondo contraddittorio e pieno di tanti piccoli inganni – della pubblicità, del marketing – che si nascondono dietro a parole modaiole come ‘vegetale’, ‘bio’, ‘organico’.

Credo che la cosa migliore sia essere onesti: l’onestà di ritenersi eticamente scorretti più o meno sempre, in quanto con il nostro sistema di vita abbiamo danneggiato il mondo interno.

Credo però in soluzioni che alterano meno possibile gli equilibri ambientali come l’artigianato, il Made in Italy che controlla le sostanze immesse sul mercato, la microeconomia e l’industria che rispetta le regole a favore dell’ecologia, perché fortunatamente anche questa esiste.

Odio i maltrattamenti sugli animali, ma apprezzo le uova delle galline {che entrano nel mio giardino libere e felici} della mia vicina. Amo la mia casa e vorrei che questo mio piccolo spazio non danneggi il resto dello spazio del mondo.

So di essere figlia del mio tempo, di portare con me antitesi e contrapposizioni del vivere oggi. Penso infine di aver acquistato le pelli migliori del mercato, per la loro naturalità.

Le mie opinioni sono (in quanto tali) opinabili, criticabili, condivisibili: se vuoi dire la tua puoi commentare qui sotto.

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mmagini tratte da Design*Sponge e Homepolish.
La pelle di pecora e l’etica ultima modifica: 2015-11-06T20:56:12+01:00 da Benedetta

9 Commenti

  • Rispondi Marianna 13/11/2015 a 17:11

    Sai quanto sia sensibile all’argomento…noi uomini ci contraddiciamo così tanto, soprattutto noi donne vittime del sistema fashion, coccoliamo i nostri animali da compagnia quasi fossero figli e serviamo prosciutto a cena come fosse nulla, ammettiamolo!!!
    Non vorrei essere noiosa e moralista, mi limito ad essere oggettiva mettiamola così: siamo in un momento di transizione, da pochissimo sentiamo parlare di “bio” “sostenibile” “eco” “green”, ci stiamo educando, stiamo riflettendo, io vorrei trovare il coraggio di leggere ” se niente importa” di Foer , lo troverò!!!
    Tu Benedetta, ti sei soffermata, hai pensato!!! magari, qualche anno fa l’avresti acquistata senza esitare…
    andiamo avanti così, SOFFERMIAMOCI!!!
    un caro abbraccio
    Marianna

    • Rispondi Benedetta 14/11/2015 a 08:04

      Probabilmente è come dici tu, l’avrei acquistata senza soffermarmi.
      Mi viene spesso in mente la mia nonna, elegante ed ecologica:
      per annaffiare i fiori raccoglieva l’acqua piovana dalla grondaia, usava la cenere come pesticida per l’orto, faceva già la differenziata mettendo da parte l’organico per le galline, al ristorante chiedeva che gli avanzi le fossero restituiti in un raccoglitore per portarli a casa. Tanti piccoli gesti che moltiplicati per 1000, 10000… aiutano l’ecologia.
      un abbraccio anche a te!

  • Rispondi Paola 05/03/2016 a 20:55

    Gentile Benedetta, anch’io ho voglia di comperare una pelle di pecora “non industriale” dove al primo posto ci sia il rispetto per l’animale. Le posso gentilmente chiedere se ha un contatto della signora trentina dove ha effettuato l’acquisto della sua pelle?
    Cordialmente, Paola

    • Rispondi Benedetta 06/03/2016 a 07:17

      Buongiorno Paola, purtroppo non ho alcun riferimento perché la signora è davvero una contadina e non aveva biglietti da visita. So, però, che ogni anno partecipa alla fiera dell’arredamento di montagna di Longarone (Arredamont). Provo a chiedere in fiera e ti saprò dire.

  • Rispondi Barbara 27/08/2019 a 22:03

    Io la cenere la uso come pesticida nel mio orto in vaso, ma c’è da dire una cosa che ora come ora ci sono insetti molto ma molto più difficili da combattere di 30anni fa! Quindi la cenere è diventato un prodotto preventivo, come il macerato d’ortica oppure la propoli. Purtroppo non in fioritura delle rare volte si deve dare per forza qualcosa, soprattutto se i tuoi vicini non fanno prevenzione. Per l’umido ci faccio una parte di compost, per il ristorante non mi avanza mai nulla. Ma voi dove vivete? Sulla luna? Eppure io sono a 60km da città. Bah!

  • Rispondi Rossella 27/12/2019 a 13:28

    BoH! Io credo che ci voglia coerenza, la tua pelle è di una pecora uccisa per abbellire un divano, quale la differenza con un collo di visone su un cappotto? È vissuta felice? Si ma è morta per il tuo divano non di vecchiaia. Conciatura ecologica che puzza di selvatico? Contenta te! Io dico che sei comunque vittima della moda delle riviste di arredamento che mettono pelle di pecora tipo chalet ovunque. Nulla di male ma almeno non trasformiamo tutto in un’esperienza green. Siamo consumisti e comuni mortali e nulla vale a smorzare la nostra coscienza, non è sempre indispensabile. Io per questa volta desisto dalla moda e ho confezionato un plaid di lana cruda ancora della mamma veramente eco friendly e di riciclo, ma l’anno scorso ho comprato una giacca col pelo di volpe. Nessuno è perfetto e nessuno lo riesce ad essere! Buone feste

    • Rispondi Benedetta 29/12/2019 a 18:57

      Ciao Rossella, sicuramente hai ragione per alcuni aspetti. Sono vittima delle riviste, sono consumista ed è difficile non cadere in contraddizione. Tuttavia quella precisa pecora il cui pelo sta sul mio divano, in realtà, non è morta per il mio divano. L’ho acquistata da una contadina trentina che vive di pecore: le alleva e le uccide per vivere, per sostentarsi. Questo per me ha fatto la differenza, preferire e favorire le piccole produzioni dove gli animali conducono una vita dignitosa, sono rispettati e vivono in un ambiente naturale, credo sia la scelta più onesta che possa fare in quest’epoca e in queste condizioni. Anche quando acquisto la carne mi rivolgo alla piccola produzione. Non credo di agire scorrettamente, al contrario.
      Hai fatto bene a confezionare il plaid di riciclo, è un’idea bellissima.. meno, come dici tu, la giacca col pelo di volpe. Purtroppo la contraddizione è dietro l’angolo, nemmeno il pelo sintetico è eco friendly: è plastica, e la plastica uccide il mare.
      Buone feste anche a te,
      ciao Benedetta

  • Rispondi Teti 11/12/2021 a 17:36

    Secondo me è troppo comodo raccontarsela come fa comodo, magari inconsapevolmente.
    La pelle del tappeto viene da una pecora che prima era viva e poi è stata uccisa per “affari economici”, anche se questi vogliono dire puro sostegno per famiglie?
    Bene…. Allora vuol dire che si accettano le regole del mercato, del consumismo o semplicemente, del “vivere normale”.
    È tutto semplice e lecito.
    È difficile eliminare tutto ciò a cui siamo abituati, si tratti di beni alimentari o vanesi.
    Chi vuole tenere sempre presente l’etica verso gli animali, stia certa che ci riesce, anche con piccoli passi alla volta… ma ci riesce.
    È difficile, lo so, e parlo per esperienza diretta..
    La ringrazio per aver aperto uno spazio a questo argomento che mi sta tanto a cuore.
    Mi piacerebbe dire tanto altro ma, magari, rientrerò in seguito se l’argomento non annoia.
    Grazie ancora

    .

    • Rispondi Benedetta 12/12/2021 a 16:48

      Sono sempre più convinta che l’economia dei piccoli produttori, come la contadina del Trentino da cui ho acquistato la pelle di pecora, non abbia in mente nessun particolare profitto. Si tratta di persone semplici, che vivono in modo semplice, che amano gli animali, li allevano con cura, li nutrono senza mangimi e poi li uccidono perché rientra in un “ciclo di vita”. Un ciclo naturale, un modo di vivere, non un lavoro per trarre così quale guadagno. Queste persone non rientrino nel suo discorso, che condivido ma applicato ad un altro genere di produzione e mercato. Dovremmo proporci di non acquistare la carne (o altro) che proviene da tali allevamenti – i cui animali sono pieni di antibiotici, costretti in spazi minimi, così pochi felici.
      Nel mio piccolo cerco di agire in questo modo: ho acquistato da una conoscente i suoi conigli di cui si è occupato anche il figlio di 10 anni, il pollo dal ns agricoltore locale che fa mille sacrifici (non si rende conto di cosa voglia di dire fare agricoltura in montagna!), le uova delle galline del mio vicino (che arrivano nel ns giardino e sono una meraviglia)…
      Credo che quando si affrontano questi temi sia veramente doveroso distinguere tra piccole produzioni e allevamenti intensivi, prodotti di artigianato (quanto buono è il burro di malga!) e produzione di largo consumo.

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