Milano Design Week
INTERIORS, LIFE + STYLE

Milano Design Week 2016: una voce fuori dal coro

Sabato scorso sono stata alla Milano Design Week. Sveglia alle 5 del mattino per arrivare a Milano alle 9.30 e per camminare chilometri riempiendo gli occhi di novità, colori, forme, insomma il design. Ho visto tante, tantissime cose in poche tempo. Mi sono fatta un’idea e a casa ho portato luci e ombre,per lo più taciute, di un evento gigantesco.

Perché poi non è stato così scontato che alla Milano Design Week il design fosse presente. O lo era a macchia di leopardo.
Il mio primo impatto, in via Tortona, è stato piuttosto negativo. Rispetto al 2013 mi pareva di essere su un altro pianeta, lontano anni luce: nel giro di tre anni via Tortona, che si era presentata così alternativa e creativa, è cambiata tantissimo.

Via Tortona
Personalmente l’ho trovata una via più commerciale che innovativa. Qualcuno potrebbe obbiettare che il mio tour de force non mi può aver offerto un quadro così completo da supportare questa affermazione.

Quando lavoravo al Corriere del Veneto il mio redattore mi diceva “Benedetta, i giornali si fanno la sera”. Quante volte abbiamo cambiato un articolo all’ultimo minuto, con quanta frenesia abbiamo raccattato notizie per scrivere l’apertura di giornale con i tipografi che schizzavano di ansia perché, ad un certo punto, ‘sto giornale doveva pur andare in stampa e arrivare in edicola il giorno dopo.

Il mio redattore {che ringrazierò sempre per questo} mi ha insegnato a catturare dettagli nel minor tempo possibile, ad annusare l’aria, ad affinare l’istinto e captare gli umori senza necessità di tante parole. Che poi è quello che insegnano anche le scuole di interior design quando si va in fiera: saper distingue ciò che è banale da ciò che è troppo originale.

Il mio redattore mi ha insegnato a dire la verità. E la verità è che via Tortona si è svuotata della creatività che avrebbe dovuto animarla per il Fuori Salone e, purtroppo, anche delle botteghe artigiane che la popolavano. In compenso si è riempita di bei localini dove bere un prosecco al costo di 5 euro.

Perché, cos’é successo? Gli affitti in Via Tortona si sono gonfiati e chi aveva trovato un’alternativa più economica al Salone del Mobile {il Fuori Salone è nato proprio per questo motivo} si trova a dover pagare cifre importanti. L’aria che tirava in via Tortona era, a mio avviso, commerciale.

Il colpo di grazia, in termini di delusione, l’ho avuto all’Opificio 31 quando sono entrata d Merci Shop, il noto concept store parigino di cui ho apprezzato l’allestimento. All’entrata era presentata la collezione Fish & Fish di Paola Navone, che mi ha delusa. Mi aspettavo molto di più da una designer del suo calibro. Lei che nel 2000 è stata nominata “Designer dell’Anno” dalla prestigiosa rivista tedesca Architektur & Wohnen, ha lavorato per le maggiori aziende. Lei che ho sempre adorato.

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Milano Design Week

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Nemmeno negli spazi delle ex Officine Ansaldo sono riuscita a sentire l’energia vibrante della creatività. Tre anni fa il piano superiore era stato occupato da creatività, compresa quella dell’editoria indipendente. Potendo salire al piano superiore era stato possibile apprezzare l’architettura dello stabile, le scale larghe, gli stanzoni immensi di quello che erano state le storiche acciaierie.

Quest’anno invece tutto si è risolto al primo piano con l’allestimento di un bar, che si inserirà in un grande progetto ancora in divenire {per saperne di più puoi leggere qui}.

Non sto dicendo che fosse tutto da buttare. No, ma l’atmosfera in generale non trasmetteva energia. In ogni caso ciò che invece ho apprezzato di via Tortona è stato lo stand del marchio tedesco Gaggenau, con la mini esposizione “GAGGENAU – 333 years in the making”. L’atmosfera leggermente retrò, contrapposta all’idea dell’evoluta tecnologia Gaggenau, rendeva tutto estremamente affascinante e valorizzava i grandi finestroni dello stabile. In una teca erano esposte le porcellane Nymphenburg, un meraviglioso esempio di manifattura tedesca. I miei occhi hanno goduto.

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Spazio Gaggenau

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Prototipi di carta

Brera Design District
Lasciata via Tortona con l’amaro in bocca, con mio marito ci siamo diretti in quello che è stato chiamato Brera Design District preoccupata di trovare la medesima situazione. Invece, qui, grazie a cielo, mi sono rinvenuta all’istante perché l’atmosfera era più frizzante. Finalmente, ho pensato, non ho fatto tanta strada inutilmente.

A Brera la folla era densa. Qui infatti erano concentrati i grandi marchi,come per esempio Marimekko e Vitra {fantastica}, che non hanno disatteso le aspettative. Ma, forse, la cosa più interessante da capire a Brera era questa:
cosa vuol dire oggi design e, soprattutto esiste ancora il design?
La stessa domanda posta da Tommaso Bovo {professore dell’Istituto Europeo di Design _IED} in questo bellissimo post.

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Da quanto ho visto il design esiste ancora, semplicemente si sta evolvendo per cause legate all’economia, ai cambiamenti sociali, a un modo di sentire e interpretare la realtà. Per cui sono nate nuove parole come ‘autoproduzione’, che sottende un rapporto diverso del designer con l’azienda. In molti casi, cioé, l’azienda viene surclassata e il designer produce egli stesso la sua ideazione.

A me questo concetto non piace molto e qui, a mio avviso, si innesta anche il vero e proprio significato che il design dovrebbe avere oggi. Non lo intenderei più come produzione in serie visto che ha un solo nome, Ikea. Che oggi più che mai porta con sé anche carattere del design, la standardizzazione propria – appunto – della produzione in serie.

Dal mio punto di vista invece il design dovrebbe mantenere il carattere di accessibilità facendo leva però sulla produzione limitata. Produzione limitata che vede l’intervento di un’altra figura, l’artigiano. Tutto ciò riferito in particolare al panorama italiano, il cui tessuto economico si fonda su piccole e medie imprese, sul saper fare, sulla tradizione artigianale. Mettere in comunicazione il mondo del design e il mondo dell’artigianato rappresenta una bella sfida.

Milano, la vera protagonista
Per tirare le somme credo che la vera protagonista della Milano Design Week sia stata proprio Milano. Milano è bella, ogni volta che ci vado la trovo così elegante e cosmopolita nonostante mantenga sempre quel carattere provinciale {e chi l’ha detto che provinciale debba essere per forza una caratteristica negativa?!} che è proprio di noi italiani. Come dire, sempre sospesa tra provincialismo e globalizzazione.

Passeggiare all’Accademia di Brera è stato puro piacere, tra gli androni e le statue di marmo che raccontano storie antiche. Le scalinate che ci hanno portato al piano di sopra dove abbiamo percorso la storia del design attraverso le sue icone. E poi la Milano dai palazzi alti e dai cortili interni. Dai vecchi palazzi che hanno ospitato i simboli del nostro made in Italy e oggi sono testimoni importanti di stili architettonici e stili sociali passati. Milano mi piaciuta, tanto, e credo valga la pena riproporti il post che aveva scritto la mia amica Clarissa su questa città.

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Milano Design Week

Milano Design Week

Milano Design Week

Naturalmente la mia riflessione è opinabile, perciò attendo un tuo commento.
A presto,
ciao Benedetta

Milano Design Week 2016: una voce fuori dal coro ultima modifica: 2016-04-23T10:32:34+02:00 da Benedetta

1 Commento

  • Rispondi Lalu 23/04/2016 a 12:57

    Io sono un appassionata da di sé significa da poco .. sono convinta che milano abbia un energia particolare! E che il design sia sinonimo di produzione limitata, di unicità! !
    Lalu
    http://Www.ilquadernodilalu.it

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